Il testo, curato da Costantino Cipolla, Università di Bologna, e monsignor Antonio Fappani, storico e presidente della Fondazione Civiltà Bresciana, va ad analizzare in profondità la figura di don Pietro Boifava il celeberrimo curato di Serle (Brescia).
Grazie ad un lavoro di equipe, sono emersi una serie di dati inediti su Boifava (1794 – 1879), singolare figura di prete, patriota e sindaco nel periodo a cavallo tra dominazione austriaca ed unità d’Italia.
Questo sacerdote diresse con Tito Speri durante le Dieci giornate di Brescia, l’insurrezione contro gli Austriaci, che valsero alla città lombarda l’appellativo di Leonessa d’Italia, coniato dal Carducci su un precedente spunto del poeta Aleardi.
Questo volume, che segue un primo e fondamentale studio di Massimo Tedeschi, edito nel 1994, contestualizza la figura di Boifava, che comunque rimane sui generis, nel più ampio alveo del cattolicesimo sociale lombardo e bresciano in particolare, lo stesso che porterà a figure come il Tovini e Giorgio Montini, padre di Paolo VI.
Vittorio Nichilo è intervenuto con due saggi: il primo dedicato alla presenza di don Boifava nella stampa e nella letteratura bresciana, il secondo con l’esilio svizzero del sacerdote, a seguito delle Dieci giornate.
Dal confronto dei quotidiani bresciani dell’epoca, con una puntata sulla stampa inglese, risulta che la successiva messa in ombra nella storiografia del sacerdote bresciano, meno che nella natia Serle. Montanelli, addirittura, lo definì capo di una banda di briganti. Tanta dimenticanza fu causata anche dall’essere diventato, involontariamente per molti versi, bandiera dei sentimenti della fazione Zanardelliana e dell’anticlericalismo bresciano. Significativa rimane la titolazione della lapide a Serle, nel 1882, negli stessi mesi in cui veniva inaugurato a Brescia il contestatissimo, ai tempi, monumento ad Arnaldo, il monaco accusato d’eresia. Enorme rimase però il prestigio nella memoria popolare del nostro sacerdote. A lui fu intitolato un circolo cattolico a Brescia, dalla cui fila uscirono diversi che, durante la guerra partigiana, furono impegnati con le Fiamme verdi. Le gesta del Boifava furono cantate da Angelo Canossi, il sommo poeta dialettale bresciano, il cui padre era stato un volontario con il curato di Serle. Al Canossi bisogna aggiungere poi Paroli, Rigosa e la Bonafin con i loro sonetti e romanzi dedicati alle Dieci giornate e quindi al nostro prete. Apposito riquadro viene dedicato alla presenza del Boifava nel teatro in dialetto: si ricostruisce la storia di Aria de primaera, la commedia rappresentata nel 1930, a I gnari delle Des zornade, di Pieremilio Gabusi, negli anni Ottanta. Nell’altro saggio di Nichilo presente in volume, si va ad analizzare l’esilio in Svizzera di Boifava, ricostruendo il percorso che da Brescia, via Pezzaze, l’avrebbe portato nel 1849 a Brusio, nei pressi di Poschiavo, nel Canton dei Grigioni. Il punto di arrivo dell’esilio di Boifava, finora sconosciuto, è stato il frutto di una approfondita ricerca di Vittorio Nichilo, che si è anche recato a Brusio e che aveva circoscritto l’area dell’esilio alla zona di Poschiavo, e del ritrovamento da parte di don Mario Trebeschi, altro autore del volume, di una lettera in cui il Boifava menzionava espressamente Brusio.