Storia dei nostri ortaggi: viaggi in storie meravigliose

 In Giardini e orti

Le carote non sono sempre state arancioni, il granoturco non c’entra con la Turchia, dobbiamo il consumo delle patate al giardiniere di una celebre regina francese e i pomodori furono considerati velenosi per un bel po’.

Se coltivare un orto ci ridà il sapore ed il valore delle verdure, conoscere la storia delle piante che abbiamo seminato o trapiantato ci permette di viaggiare in storie meravigliose che ci raccontano di Paesi lontani e personaggi insospettabili.

Da sempre, ad esempio, mangiamo pomodori, patate, granoturco e carote, ma quel da sempre, in realtà, ha avuto una sua data di inizio: le tradizioni, infatti, sono novità che col tempo sono diventate abitudini.

Se andiamo a frugare nei nostri ricordi scolastici troveremo che pomodori, patate, granoturco sono arrivati dall’America ma quando furono consumati dalle popolazioni europee?

Torniamo nel Cinquecento e mettiamoci nei panni dei nostri antenati: le novità arrivate dal Nuovo mondo erano guardate con sospetto. Tra le poche eccezioni il tacchino perché forniva tanta carne e soprattutto riusciva a covare fino a trenta uova anche delle galline, cosa non da poco dato che non esistevano ancora le incubatrici.

Pomodori e patate ci impiegarono un po’ ad affermarsi anche perché la parte verde era leggermente tossica e quindi queste due essenze furono utilizzate come piante ornamentali.

Il pomodoro per tutto il Cinquecento venne visto con sospetto, Ulisse Aldrovandi lo definì frutto più bello che buono. Fu chiamato in buona parte del mondo con il nome della terra d’origine, tomatl, meno che in Italia.

 Da noi il medico Pietro Andrea Mattioli, toscano ma sepolto nel duomo di Trento, lo chiamò pomo d’oro. Tra le prime varietà a circolare in Europa c’erano infatti piante coi frutti gialli e per il Mattioli fu un attimo paragonarli ai pomi delle Esperidi. L’uso alimentare del pomodoro partì da Napoli a partire dal Seicento in quanto la città era legata alla Spagna, terra dove si sperimentò l’uso di questo ortaggio tanto crudo quanto come salsa. E di fatti la salsa di pomodoro era chiamata ai tempi salsa spagnola.

Le patate ebbero lo stesso destino dei pomodori, peraltro anche stessa famiglia botanica. Utilizzate, inizialmente, come piante ornamentali, per via del fiore bianco che producono. Contro di loro anche un pregiudizio tutto medievale: quanto cresceva sotto terra era frutto del diavolo.

 Ci volle un farmacista e agronomo francese mandato in guerra, Antoine Augustin Parmentier, per far lanciare le patate come cibo a tutti gli effetti. Ai prigionieri francesi dei prussiani raccontano fossero date patate per dileggio, in quanto considerate cibo per gli animali.

Nel Bresciano ad esempio al posto della patata era coltivata la fava da cui si ricavava anche dell’olio.

 Parmentier scoprì invece che erano buone e allora lo raccontò alla sua regina, Maria Antonietta, oltre che in un trattato dove la consigliava come alimento sostitutivo in caso di carestia. E dunque via con la crema alla Parmentier e le patatine alla francese.

Il granoturco invece, simbolo di molti piatti del Nord Italia, la polenta in primis, si affermò sempre nel Seicento, accolto con diffidenza: la brescianissima polenta veniva infatti realizzata con del miglio, mangiare che oggi lasciamo ai canarini. Il nome grano turco? Un errata traduzione di “wheat of turkey” ovvero farina per tacchini.

Concludiamo infine con le carote. Sempre arancioni? Ma neanche per sogno. Il colore fu una trovata nel Seicento degli agricoltori olandesi per omaggiare i propri governanti della famiglia degli Orange Nassau, che avevano come colore appunto l’orange ovvero l’arancio.

Questo breve excursus nel mondo degli ortaggi che ci viene a dire? Che ogni persona, animale o cosa ha una storia da raccontare e che, se sappiamo ascoltarla, renderà più ricca la nostra vita di tutti i giorni.

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