In difesa del “corsivo” ovvero elogio dei giovani d’oggi/1
Non sono bastati Covid, guerra in Ucraina, mondi privati e pubblici franati: noi Italiani siamo rimasti un popolo forse di santi, ancora di navigatori ma, soprattutto, di poeti e polemisti.
Negli ultimi mesi, il nuovo tormentone dei ragazzi è il corsivo o corsivoe ed Elisa Esposito è la sua profetessa o meglio la sua professoressa, come si fa chiamare.
Apro parentesi per chi non vive il rutilante mondo dei giovani come insegnante, educatore, allenatore o comunque consolatore professionista di quelle esistenze inquiete che sono i nostri ragazzi: il corsivo in questione non è la grafia destinata a scomparire, perché tra attacchi d’ansia di genitori e studenti, perdita progressiva del pollice opponibile ci ridurremo a scrivere in uno stampatellone degno di un alfabeto norreno.
No: il corsivo di cui stiamo parlando è la versione caricaturale del milanese, o meglio dell’italiano parlato a Milano. Fenomeno recente ma su cui il web si sta arrabattando per cercare le origini: qualcuno sostiene che si sia sviluppato a partire da un episodio del Collegio, reality culto tra i giovanissimi. Elisa Esposito però è riuscita a fare di questo vezzo linguistico un fenomeno mediatico, ricavandosi il personaggio della professoressa del corsivo come dicevamo: navigare per credere.
Nulla di nuovo sotto il sole: negli anni Ottanta il commendator Zampetti, ricordate la serie “I ragazzi della 3C”, aveva reso popolare la parlata del “cumenda” milanese. Se l’Italiano è nato a Firenze, è toccato a tante altre città, come Milano, Venezia, Roma e Napoli ad esempio, renderlo con una lingua viva, con un assist che da Manzoni è arrivato su su fino a Mike Bongiorno.
E, quindi, brava Elisa Esposito? Del resto nel vuoto pneumatico della rete, ha saputo creare qualcosa che ha almeno il pregio dell’inventiva verbale. E invece no, neanche a parlarne. Ad un’uscita pubblica presa in contropiede su Dante, è stata investita dal popolo degli indignados. E siccome anche in epoca di politicamente corretto compulsivo, siamo e rimaniamo un popolo di irosi o meglio malmostosi come diremmo a Brescia, è stato lo scatenarsi dei farisei della tastiera. Gente che Dante oltre alla prima terzina ignora chi sia, che ha fatto del congiuntivo un vezzo vintage, così come del “parlo sempre e comunque un imperativo categorico”, si è messa a stracciarsi le vesti. Pe non parlare di chi se la prendeva con la ragazza, perché si era arrogata il titolo di professoressa, magari lo stesso adulto che era andato a litigare col prof del figlio il mattino prima.
Alla signorina Esposito personalmente auguro di godersi il quarto d’ora di celebrità, come diceva Warhol e di lavorare tanto se volesse andare avanti: da questo punto di vista le carriere di Madonna e Jovanotti, per chi ha la memoria lunga, sono esemplari.
L’atteggiamento di critica verso i giovani non è una novità: considerare quel che fanno a prescindere sbagliato, trincerandosi dietro “una volta era meglio” è un vezzo vecchio come il mondo. Credere che una volta fosse meglio però, ripeteva un mio docente di università, è l’anticamera del rimbambimento: una volta era, infatti, solamente diverso.