Il capitano Segre e il soldato Turina: elogio della storia siamo noi/1
«Roma, alba del 20 settembre 1870: il 7° reggimento comincia a cannoneggiare Porta Pia. Il resto passerà direttamente dalla storia al mito di un’Italia unita da poco: i bersaglieri a passo di corsa, la Città eterna capitale, con il commento in Piemontese di re Vittorio “Finalment ai suma (Finalmente ci siamo)”».
Iniziavo così il mio articolo sulla pagina culturale del Giornale di Brescia lo scorso 19 settembre, per ricordare Carlo Turina, l’unico caduto bresciano a porta Pia. Nel pezzo raccontavo della vicenda di questo soldato, sepolto nel mausoleo del Gianicolo, rievocata con accuratezza e garbo da Roberto Maggi in un volume delle Liberedizioni.
Venti settembre, presa di Roma, evento epocale per la storia italiana ma anche, per l’eco che ebbe, europea: era la fine del potere temporale del Papa, cosa che, da qualunque parte la si guardi, provocò allora scalpore e oggi spunti di riflessione.
Ad interessarmi però, nella stesura del mio articolo, la considerazione semplice ma non scontata di come la grande storia sia il risultato di tante microstorie.
I grandi eventi sono come temporali che si abbattono sulle nostre giornate ma che, a ben pensarci, sono un insieme di tante piccole gocce.
Pensiamo alla presa di Porta Pia: si va da re Vittorio Emanuele che firma l’ordine di movimento per le sue truppe, ai generali che pensano alle manovre, ai singoli soldati che si addestrano.
E così anche nel campo avverso i singoli consulti del Papa, la catena di piccole decisioni che porta all’idea di resistere.
Su questo poi ognuno di noi può e deve farsi un’opinione ma nel momento in cui accadono i grandi eventi sono un insieme di fatti, fondamentalmente cronaca che solo dopo, come ricordava Eugenio Montale in un’intervista, diventano storia. E diventano un qualcosa in cui ognuno porterà la sua lettura a posteriori.
L’importante è che sia una lettura il meno soggettiva possibile dato che la storia oggettiva non esiste ma è possibile quella onesta.
E la storia oggettiva non esiste per la natura stessa di cui sono fatti i suoi protagonisti, gli esseri umani: un guazzabuglio di idee e sentimenti, tante intenzioni che spesso vanno al di là quando si realizzano, di chi le aveva pensate.
Abbiamo il dovere di mettere insieme però tutti i fatti e le intenzioni che li mossero, mistificazioni comprese, e questo ci darà la storia onesta, andando oltre a nostre visioni ideologiche. Chi si occupa di storia dovrebbe essere come un chirurgo che opera senza chiedersi prima se il paziente tifi per quella o questa squadra, preferisca questa o quella birra, se abbia gli occhi azzurri o marron.