Come lo zucchino selvatico: elogio del ritorno a scuola/1
É dai tempi di de Amicis, credo, che l’opinione pubblica non si interessasse così tanto alla scuola come in questi giorni in cui, con i mezzi limitati che conosciamo ma la volontà di ferro di sempre, è chiamata, ancora una volta, ad essere la nostra linea del Piave.
L’anno scolastico che sta per cominciare oltre all’emozione di sempre fa sentire a me, come a tanti colleghi, la pressione di un allenatore in una partita decisiva, una di quelle in cui hai gli occhi di tutti puntati addosso non solo per il risultato, ma, soprattutto, per quel che quell’incontro rappresenta.
La scuola che riprende, infatti, è la Nazione che riparte, perché, come ci siamo accorti, o meglio ricordati, durante la Quarantena, la scuola è normalità, socialità e un cantiere dove si costruisce il futuro tutti i giorni.
Mi stavo chiedendo cosa dire agli allievi ma credo che qualcosa troverò, in quel guazzabuglio di emozioni e sentimenti miei e loro, di voglia di ritrovarsi, seppur a distanza e mascherinati come tanti Butch Cassidy.
Potrei sempre partire da un “Dove eravamo rimasti”, storica citazione di Enzo Tortora e poi rievocare tra tutte le volte in cui li ho pensati e in cui mi sono mancate le loro trovate illuminanti come gli esperimenti da disastrosi apprendisti stregoni.
Il problema non sono i ragazzi, per quel che mi riguarda, ma sono gli adulti, a partire dal sottoscritto. Che dirò, che mi racconterò?
Sicuramente che tutto non è andato così bene: mi spiace dover contraddire il mantra, utilissimo peraltro nei mesi bui della quarantena, ma ribadisco non è andato tutto così bene.
Prescindendo dall’evidenza che non ammette contraddittorio ovvero i morti, una realtà effettuale per dirla alla Machiavelli, solo ora ci stiamo rendendo conto che c’era una vita di prima che non tornerà più.
Rimanendo solo nel mondo della scuola penso a tutte le foto di classe che non sono state scattate a fine anno, le risate che non sono esplose nelle notti insonni delle gite, nei saggi e negli spettacoli non andati in scena: sono tante ferite che i nostri ragazzi si porteranno dietro. Tutto non è andato così bene: è un dato di fatto.
Siccome però rimango sempre dell’idea che la vita è bella anche se, a volte, fa male, volevo trovare un’immagine per raccontarmi e pensare il ritorno al mondo di quella scuola che con tanti colleghi e studenti abbiamo dovuto mettere tra parentesi lo scorso inverno, otto mesi fa, un mondo capovolto che ci ha in-segnato in profondità.